Apple poteva finire nelle mani di HP, Atari o Commodore... poi arriva Mike Markkula

Steve Wozniak racconta a modo suo come la Apple rischiò di non partire, tra tentativi di acquisizione falliti, la sua fedeltà verso HP e la pressione di Steve Jobs

Mike Markkula, l'investitore che finanziò la Apple

Nella primavera del 1976, quando ero al lavoro sull’Apple II, ebbi la prima discussione con Steve. Lui non riteneva giusto che l’Apple II dovesse avere otto slot di espansione. Gli slot sono dei connettori grazie ai quali possono essere connesse al computer delle altre schede per incrementarne la funzionalità.
Steve voleva solo due slot — uno per la stampante e uno per il modem. Pensava che in quel modo sarebbe stato possibile costruire una macchina più piccola e più economica, più che sufficiente per le esigenze di allora. Ma io ne volevo di più, ne volevo otto. Ero dell’idea che in futuro ci sarebbero state parecchie nuove cose che gli utenti avrebbero desiderato fare, e non volevo porre limiti.
Generalmente sono una persona con la quale è molto facile andare d’accordo, ma quella volta gli dissi, “Se vuoi un computer così, progettane un altro per conto tuo.”

Ridurre il numero di slot non consentiva di risparmiare chip, e poi sapevo che le persone come me avrebbero sicuramente inventato molte cose da collegare a qualsiasi computer. A quel tempo ero nella posizione di imporre quella decisione. Non accadde sempre così. Un paio di anni dopo, Apple progettò l’Apple III che fu un vero disastro, ed aveva anche pochi slot. Ma nel 1976 la spuntati, l’Apple II fu pensato e realizzato nel modo che volevo io.
Un giorno andai all’HP — dove ancora lavoravo — e mostrai l’Apple II ad alcuni ingegneri. Ne dimostrai le potenzialità fecendogli generare delle spirali colorate e tutti mi dissero che quello era il miglior prodotto che avessero mai visto.

HP avvia autonomamente lo sviluppo di un personal computer

L’HP non aveva ancora trovato il modo di progettare una simile macchina. Un giorno, il mio capo, Pete Dickinson, mi disse che alcune persone della mia divisione stavano sviluppando un computer desktop dotato di microprocessore, memoria DRAM, un piccolo monitor e una tastiera. C’erano cinque di loro che si dedicavano a tempo pieno alla scrittura di un BASIC per questa macchina. La cosa ridicola era che tutti loro sapevano ciò che avevo fatto con l’Apple I e anche con l’Apple II, tuttavia avevano dato il via a questo progetto senza di me! Perchè si comportarono così? Non lo so. Penso solo che avevano in mente di realizzare un qualcosa che io avevo già fatto.
In ogni caso, andai a parlare con il project manager, Kent Stockwell. Sebbene avessi già una certa esperienza con i computer, con l’Apple I e l’Apple II, volevo così tanto lavorare ad un computer all’HP che avrei accettato qualsiasi incarico, anche progettare una misera interfaccia per la stampante, qualsiasi cosa. Gli dissi, “L’unico mio interesse sono i computer, non le calcolatrici”.

Dopo alcuni giorni, le mie aspettative vennero nuovamente deluse. Ancora penso che l’HP fece un enorme errore a non permettermi di far parte di quel team che progettava computer. Ero così fedele all’HP. Avrei voluto lavorare lì per sempre. Quando hai un dipendente che dice che è stanco delle calcolatrici e che vorrebbe occuparsi dei computer, dovresti metterlo dove è più produttivo, dove è felice di lavorare. L’unica cosa che ho capito fu che nel progetto di quel computer erano coinvolte delle persone che si sentivano minacciate.
Io avevo già realizzato un intero computer. Forse non mi volevano perchè ci ero riuscito tutto da solo. Non so cosa stessero pensando. Ma forse avrebbero fatto meglio a dire, "Cosa possiamo far fare a Steve Wozniak? Lasciamogli fare una piccola interfaccia per la stampante”. Ed io sarei stato comunque felice. Ma non andò così.

Commodore valuta l'acquisizione di Apple

Come ho già detto, avevamo bisogno di soldi. Steve lo sapeva e anch’io ne ero consapevole. Così, dall’estate del 1976, iniziammo a parlare con potenziali investitori, dando dimostrazione delle capacità dell’Apple II nel garage di Steve. Una delle prime persone a cui lo mostrammo fu Chuck Peddle. Ricordate? Era quel tipo della MOS Technologies che mi vendette il processore 6502 al WESCON Show, attorno al quale progettai l’Apple I.

A quel tempo Chuck stava lavorando alla Commodore, un’azienda di elettronica di consumo che sembrava intenzionata a mettere in vendita un personal computer. Ricordo che fui veramente felice di incontrarlo dopo il ruolo che il suo chip, il MOS 6502, aveva giocato nell’Apple I.

Quel giorno avevamo aperto il garage di Steve in modo che vi potesse entrare la luce del sole e lui si presentò vestito in abiti da cowboy, con tanto di cappello. Ero veramente eccitato e smaniavo dalla voglia di mostrargli l’Apple II. Per me lui era veramente una persona importante. Caricai qualche programma in BASIC che visualizzava delle spirali colorate sullo schermo, gli mostrai i chip che avevo usato e come funzionava il tutto.
Chuck era di buon umore durante quell’incontro, ci disse che avrebbe organizzato una presentazione con i dirigenti della Commodore che si tenne alcune settimane dopo. In quella sala riunioni, non dimenticherò mai Steve Jobs che si esibiva in uno dei suoi più ridicoli discorsi. Disse, “Quante centinaia di migliaia di dollari sieti disponti a spendere per comprare questo prodotto?”.
Io ero in imbarazzo. Voglio dire, per come eravamo messi, senza soldi e senza aver ancora dato prova che c’era la possibilità di farli. Steve aggiunse, “...inoltre, vogliamo essere assunti dalla Commodore ed avere un ruolo in questo progetto”.

Alcuni giorni dopo ci informarono che avevano deciso di progettare una macchina per conto loro, sarebbe stato più economico. Ritenevano di non aver bisogno dei colori, della grafica, del sonoro, di tutte quelle caratteristiche avanzate che avevamo noi. Chuck Peddle, nel garage, ci aveva detto che per loro sarebbe stato possibile sviluppare la nuova macchina in quattro mesi. Era un’impresa per chiunque riuscirci in così poco tempo, ma a voler ben guardare, dopo l’esperienza che avevo fatto con l’Apple II, probabilmente mi sarebbe rimasto più semplice progettare qualsiasi cosa fosse nei piani della Commodore.

Alcuni mesi dopo, al West Coast Computer Faire, vidi il computer che avevano realizzato così velocemente, il Commodore PET. Non mi piaceva per niente. Provarono a fare qualcosa di simile a quello che avevo mostrato quel giorno a Chuck nel garage, con il monitor e la tastiera integrati, ma forse per lo scarso tempo a disposizione, uscirono con un prodotto veramente scarso. Loro avrebbero potuto acquisire Apple, ci fu questa concreta possibilità, ma presero la decisione sbagliata.
È divertente a ripensarci ora — l’Apple II diventò uno dei prodotti di maggior successo di tutti i tempi. Inoltre all’epoca non avevamo copyrights o brevetti di sorta. Non avevamo segreti. E lo stavamo mostrando a tutti.

Atari era troppo impegnata a progettare la sua console VCS

Quando la Commodore rinunciò, andammo a casa di Al Alcorn. Era stato uno dei fondatori dell’Atari con Nolan Bushnell, e fu lui ad assumere Steve due anni prima. Al mi conosceva, sapeva che ero stato io a realizzare Breakout, la versione single-player di Pong. Quando entrammo nella sua casa ricordo di essere rimasto impressionato dal suo televisore, uno dei primi TV-color a retroproiezione. Davvero fantastico, specialmente per l’epoca. Ma Al ci disse poi che l’Atari era troppo impegnata nel mercato con i videogame per portare avanti il progetto di un computer.

Angel investors

Dopo qualche giorno, iniziarono ad arrivare altri investitori che Steve aveva contattato. Uno di questi era Don Valentine della Sequoia Capital. Sembrò snobbarci mentre parlavamo, poi chiese, “Qual è il bacino di mercato?” “Circa un milione di utenti”, gli dissi. “Come lo sai?” Risposi che il mercato delle radio amatoriali era di un milione di utenti e pensavo che gli appassionati di computer potevano essere almeno altrettanti.
Don Valentine non ci finanziò ma ci mise in contatto con un altro investitore di nome Mike Markkula. Aveva solo trent’anni ma si era già ritirato dall’Intel. Era in cerca di nuovi progetti e forse gli interessava ciò che avevamo creato noi.
La prima volta che incontrai Mike pensai veramente che fosse una persona speciale. Era giovane, aveva una splendida casa sulle colline di Cupertino con vista panoramica, una moglie adorabile, sembrava che tutto gli girasse per il meglio. Ma la cosa più importante era che gli piaceva veramente ciò che avevamo! Non parlava come quei tipi di persone che ti nascondono le cose e pensano solo a fregarti. Era molto pragmatico. Diceva chiaro e tondo come stavano le cose. E sembrava veramente interessato. Ci chiese chi eravamo, qual era il nostro background, quali obiettivi avevamo con la Apple e quale strada avevamo intenzione di intraprendere.

Disse che ci avrebbe finanziato. Parlò di circa $250,000 per costruire 1000 macchine. Mike argomentava in modo convincente le sue teorie sui futuri sviluppi dell’industria informatica, in particolare degli home computer. Fino ad allora, io avevo sempre considerato i computer Apple come un qualcosa rivolto agli hobbysti che volevano programmare una simulazione o dilettarsi con i giochi. Mike invece stava parlando di un prodotto completamente differente. Immaginava che il computer potesse entrare nella vita e nelle case di persone comuni, e che potesse essere usato per cose come archiviare le ricette o fare operazioni di ordinaria contabilità. Stiamo andando verso questo scenario, disse. Lui immaginava l’Apple II come un vero home computer.
A dire il vero, l’idea ci era già passata per la testa. Un computer tirato fuori dalla scatola e già pronto all’uso era ciò che in fondo ci aveva chiesto Paul Terrell del Byte Shop. E noi lo avevamo realizzato, come pure il case in plastica.

Avevamo anche intenzione di assumere un amico di Steve, Rod Holt, per progettare un alimentatore. Un alimentatore molto più efficiente di quelli disponibili a quel tempo, che sapevamo avrebbe dissipato molto meno calore. Questo era assolutamente necessario visto che volevamo mettere la scheda madre e l’alimentatore all’interno di un case in plastica. Quando fu il momento di siglare il nostro accordo, Mike ci disse, “Entro due anni la nostra azienda entrerà nella Fortune 500. Questo è l’inizio di una nuova industria. Eventi del genere accadono una volta ogni dieci anni”.
Avevo fiducia in lui per la sua reputazione e per la posizione che si era costruito nella vita. Era quel tipo di persona che se faceva certe affermazioni — e le faceva in tutta sincerità — era segno che ci credeva veramente. Arrivare nella top 500 di Fortune pensavo fosse fuori portata, già diventare un’azienda da $5 milioni mi sarebbe sembrata una cosa immensa ed incredibile.

Se qualche persona conosce meglio di me certi argomenti, io non provo a sfidarlo usando il mio modo di ragionare. Posso essere scettico, ma se qualcuno dimostra veramente di conoscere ciò di cui sta parlando, allora gli si dovrebbe dare ascolto. Alla fine risultò che anche Mike sottostimò il nostro successo. Ma questo lo racconterò dopo. Bene, quando Mike accettò di lavorare al nostro business plan — appena iniziò a scriverlo — chiese di parlare con me.
Disse, “Okay, Steve. Tu sai che devi lasciare la Hewlett-Packard”. E io chiesi “Perchè?” Ero stato all’HP per tutto il tempo durante lo sviluppo dell’Apple I e dell’Apple II. Per tutto questo periodo l’avevo portato avanti come un secondo lavoro, avevo progettato la scheda, l’interfaccia, aggiunto il colore, la grafica, scritto il BASIC, avevo fatto tutto ciò che c’era da fare. Gli dissi, “Perchè non posso continuare così e mantenere il mio lavoro sicuro all’HP?” Ma lui ribattè, “No, devi lasciare l’HP” senza aggiungere spiegazioni. Mi disse che avrei dovuto decidere entro martedì.

Tornai a casa e non smettevo di pensarci. Ci pensavo e ripensavo. Sapevo che mi piaceva progettare computer e mostrarli all’Homebrew. Mi divertivo a scrivere software, a giocare con i videogame. Sapevo che avrei potuto fare quel genere di cose per il resto della vita. Non avevo bisogno di una mia azienda. In più, mi sentivo molto a disagio a guidare una nuova azienda in cui avrei dovuto avere il ruolo di spronare le persone sotto di me, indirizzarle, controllare quello che facevano. Non mi ci vedo a fare il manager. Come ho già detto, non sono mai stato una figura autoritaria e non lo volevo diventare. Così decisi di rinunciare. Sarei rimasto a lavorare all’HP e avrei continuato a progettare computers per hobby.
Il giorno in cui scadeva l’ultimatum andai al capanno — Mike aveva un capanno nella sua proprietà — e dissi a Mike e Steve cosa avevo deciso. Gli dissi di no. Gli dissi che ci avevo pensato e che ero giunto alla conclusione che non avrei lasciato l’HP. Ricordo che Mike rimase calmo, si limitò a scrollare le spalle e disse, “Okay. Bene.” Fu molto sintetico.

Continua...