Doug Engelbart, il Memex e l'idea del computer come assistente personale

Utilizzare un computer con finalità diverse dal calcolo numerico sembrava rivoluzionario, un computer che lavorava in simbiosi con il suo utilizzatore e manipolava informazioni, un computer in grado di espandere le capacità umane

Doug Engelbart aveva sempre saputo di essere un tipo speciale.
Era cresciuto in una fattoria nei dintorni di Portland, in Oregon, in una famiglia che poteva garantirgli nulla di più della sussistenza.
Le sue umili origini e il fatto di non uniformarsi alle più semplici regole sociali non rappresentarono mai un impedimento per lui. "Imparai presto a non badare a certe cose", ricorda Engelbart, "il primo anno delle superiori ero seduto all'ultimo banco e notai le scarpe lucide che indossavano tutti gli altri. Poi guardai le mie, l'unico paio che possedevo, vecchie, logore e sporche di merda di vacca...".

Engelbart aveva una passione viscerale per il suo lavoro e una determinazione nel perseguire le proprie idee che lo contraddistinse per tutta la carriera. Era stato fortunato a trovare la sua "missione" mentre stava svolgendo il servizio militare nelle Filippine, alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1944 era stato addestrato in marina come tecnico radar e nell'agosto del 1945 la sua nave era pronta a salpare da San Francisco, diretta verso il Pacifico. Improvvisamente dalla costa si levò un gran clamore, con fischi, grida di gioia e lanci di mortaretti; i marinai ammassati sul ponte si chiesero cosa mai stesse succedendo, se fosse usuale che ogni nave che lasciava il porto venisse salutata in quel modo. Ben presto arrivò la notizia: i giapponesi si erano arresi, la guerra era finita.
In un attimo le paure per il conflitto erano svanite nel nulla e in molti pensarono che a quel punto non avesse più senso proseguire in mare aperto. Trentotto giorni più tardi sbarcarono nell'isola di Samar nelle Filippine. Il fatto che la guerra fosse terminata fu di grande sollievo per Engelbart, doveva solo trascorrere un anno monotono prima di far ritorno in California.
In quei lunghi giorni ammazzava il tempo passeggiando sulla spiaggia, osservava le nuvole che si formavano nel cielo tropicale e si sedeva ad ammirare il tramonto.

Durante la sua permanenza fu dislocato con un altro gruppo di tecnici nella vicina isola di Laiti dove capitò in una piccola biblioteca che la Croce Rossa aveva allestito in una capanna dei nativi, fatta di bamboo e col tetto di paglia. Fu in quella biblioteca che ebbe l'illuminazione della sua vita. Su uno scaffale scovò una pila di riviste e sfogliando un numero di Life si imbatté in un estratto di un articolo che era apparso sull'Atlantic Monthly di luglio 1945. Parlava di un'ipotesi teorizzata dal fisico Vannevar Bush sulla realizzazione di una speciale macchina che poteva immagazzinare e gestire un vastissimo volume di informazioni.

Durante la guerra Bush era a capo del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e dal Pentagono coordinava le ricerche di migliaia di scienziati. Nel suo saggio dal titolo "As We May Think" poneva all'attenzione della comunità scientifica l'esigenza di rendere più accessibile l'enorme bacino delle conoscenze umane: "La finalità delle invenzioni è sempre stata quella di superare i limiti fisici dell'uomo piuttosto che accrescere la capacità della sua mente. Leve che moltiplicano la forza delle braccia, microscopi che aguzzano la vista, infine armi di distruzione di massa, sono fra i più recenti risultati, ma non lo scopo finale, della scienza moderna. Dopo il lavoro svolto in ambito militare, gli scienziati dovrebbero dedicare risorse allo sviluppo di uno strumento di pace che potrebbe facilitare la fruizione dell'enorme quantità di informazioni e conoscenze che la nostra società produce".

Memex

Fin dagli anni trenta Bush osservava quanto fosse inefficiente il sistema per l'archiviazione ed il reperimento del sapere, dato che l'informazione nelle università e nelle biblioteche era organizzata in modo gerarchico, spesso di difficile o impossibile accesso. Un tale sistema di archiviazione che si basava sull'uso di un indice, che spesso rimandava ad altri indici, oltre ad essere poco efficiente, era estraneo ai meccanismi del cervello umano, che procede piuttosto per associazioni di idee e connessioni logiche. Come alternativa, Bush proponeva una macchina ideale, il "Memex" (contrazione di memory expansion), che doveva essere un sistema di tipo elettro-ottico e non più meccanico, basato sull'uso del microfilm, che all'epoca era la più avanzata e promettente forma di archiviazione di informazioni.

Memex di Vannevar Bush
Il Memex ipotizzato da Vannevar Bush (1945)

Il Memex era descritto come una scrivania dotata di schermi traslucidi, una tastiera e un set di pulsanti e interruttori che azionavano meccanismi motorizzati per una ricerca rapidissima su un vasto archivio di microfilm sui quali erano memorizzati documenti di ogni genere, sia testi che immagini. Cosa più importante, il Memex avrebbe dovuto consentire la creazione di collegamenti stabili tra documenti diversi, attraverso la loro semplice selezione e la pressione di un tasto da parte dell'utente. L'insieme di quelle che Bush definisce "tracce", oltre a consentire un agile spostamento da un documento all'altro, costituiva una rete di connessioni logiche che avrebbe dovuto rendere via via più facile la gestione delle informazioni e delle conoscenze. Questa caratteristica rende il Memex il precursore dei sistemi ipertestuali su cui si fonda il World Wide Web.

Bush riporta un'impressionante descrizione di una sessione di lavoro con Memex, del tutto simile a quella di una ricerca su internet, con quasi cinquant'anni di anticipo. Profetizzava inoltre che: "Appariranno forme totalmente nuove di enciclopedia, già confezionate con una rete di percorsi associativi che le attraversano, pronte per essere immesse nel Memex ed ivi potenziate".

Il Memex concepito da Bush segna una svolta decisiva e apre un nuovo scenario sull'uso della tecnologia elettronica applicata all'informazione. L'idea che il Memex incarnava fu di grande ispirazione per la successiva generazione di scienziati e ingegneri che avrebbero contribuito a creare Internet e la moderna concezione del computer come strumento di comunicazione. Molti ricercatori sostenevano che le idee di Bush rispondevano ad esigenze concrete e che un sistema di archiviazione basato sul Memex potesse essere effettivamente realizzato. L'idea di un dispositivo che potesse estendere le capacità della mente umana lasciò Engelbart sbalordito, e per giorni non fece altro che parlare con chiunque incontrasse di ciò che aveva letto.

Ma la descrizione del Memex non fu l'unica idea interessante in cui si imbatté sulla spiaggia delle Filippine. Un altro saggio che ebbe grande influenza su di lui fu "What Makes a Life Significant" di William James, che radicò nel giovane Engelbart la filosofia del pragmatismo e la perseveranza nel raggiungere le proprie ambizioni.
Quando Engelbart fece ritorno negli Stati Uniti, completò gli studi che aveva iniziato prima di entrare in marina e nel 1948 conseguì la laurea in ingegneria elettrica alla Oregon State University. Trovò impiego all'Ames Research Center a Mountain View, in California. Il centro faceva parte della NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), un'agenzia federale per la ricerca aeronautica che dette poi origine alla NASA.

Engelbart si unì al gruppo di ingegneri che curava la manutenzione della gigantesca galleria del vento e la progettazione di strumenti elettronici dedicati. Quel lavoro non suscitava particolari entusiasmi in Engelbart ma gli permise di entrare in contatto con le più moderne tecnologie dell'epoca, in un ambiente pieno di molte idee interessanti. Per alcuni mesi Engelbart passò tutto il suo tempo libero nella grande biblioteca di Stanford, un posto che una persona schiva e solitaria come lui trovava meraviglioso. Poi un giorno un amico lo convinse a frequentare un corso di ballo popolare e di lì a poco incontrò Ballard, la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.

Il matrimonio cambiò in meglio la vita di Doug Engelbart ma nello stesso tempo lo fece precipitare in una crisi profonda. Un mattino, mentre andava al lavoro, improvvisamente realizzò che non aveva la più pallida idea di cosa fare nel resto della vita. Ames era un buon posto in cui lavorare ma non c'era niente che catturasse il suo spirito. Era il Dicembre del 1950, aveva 25 anni. Fino a quel momento aveva brillantemente raggiunto tutti i suoi obiettivi e provare quella strana inquietudine quasi lo imbarazzava.
Tornando a casa iniziò a pensare sistematicamente per trovare un'idea che gli avrebbe permesso di lasciare un contributo significativo. La più grande sfida che doveva fronteggiare l'umanità era la crescente complessità delle informazioni riguardanti ogni aspetto della società. Se avesse trovato un modo per migliorare la gestione di questo flusso di informazioni, avrebbe certamente realizzato un qualcosa di fondamentale.

Tutto d'un colpo ebbe una completa visione dell'età dell'informazione: probabilmente influenzato dalla sua precedente esperienza in marina come operatore alla console radar, si immaginò seduto di fronte ad un grande display pieno di informazioni e simboli. Nella sua mente poteva vedere i caratteri scorrere sullo schermo e ipotizzava l'uso di manopole e interruttori per modificare le informazioni. Era una trasposizione esatta del Memex nel mondo dei computer elettronici.

Sebbene non esistesse ancora nulla del genere, Engelbart riteneva che con la tecnologia dell'epoca e una buona dose di lavoro ingegneristico, la sua visione potesse tradursi in realtà. Per realizzare la sua macchina, si rese conto che avrebbe dovuto apprendere tutto quello che c'era da sapere sui computer. Ogni grande progetto inizia sempre con un primo passo e in questo caso il primo passo coincise con l'iscrizione ad un corso universitario.
Dopo aver valutato che Stanford non off riva nulla di speciale sui computer, la scelta ricadde su Berkeley. Dopo tre anni Engelbart ottenne il suo dottorato con un'originale tesi su un dispositivo computerizzato alimentato a gas. In seguito, rimase a Berkeley un altro anno come assistente ma presto gli apparve chiaro che nel mondo universitario non sarebbe stato in grado di realizzare la sua "Visione Aumentata".

Fece alcuni colloqui presso grandi aziende private ed esplorò la possibilità di lavorare nei loro laboratori di ricerca ma né la General Electric né la Hewlett-Packard si dimostrarono interessate all'idea di investire nel settore dei computer digitali. Tornò quindi all'Università di Stanford in cerca di una cattedra, ma non erano ancora stati istituiti dei corsi di informatica poiché i computer erano considerati come strumenti di calcolo e non come una disciplina accademica.
Alla fine pensò che lo Stanford Research Institute potesse essere una buona soluzione: avrebbe lavorato come ingegnere ai progetti del centro e nello stesso tempo avrebbe avuto occasione di finanziare e portare avanti parallelamente le sue idee.

L'Università di Stanford aveva creato quel centro di ricerca interdisciplinare poco dopo la fine della seconda guerra mondiale proprio in quella zona di Menlo Park dove l'esercito aveva ammassato truppe per fronteggiare un'eventuale offensiva dei Giapponesi.
Verso la metà degli anni '50 lo Stanford Research Institute era ancora ospitato nella ex caserma e in una serie di edifici temporanei sparpagliati tutto attorno. Anche se il nuovo mondo dell'elettronica digitale era già all'orizzonte, a quel tempo gli ingegneri e i fisici dello SRI concentravano le loro ricerche principalmente sulle memorie magnetiche e l'intelligenza artificiale. Nel 1957 Douglas Engelbart si unì a un piccolo gruppo di ingegneri guidato da Hewitt Crane.
Nel 1959, l'avvento del circuito integrato causò un grande fermento nello Stanford Research Institute e l'interesse si era velocemente spostato verso l'elettronica allo stato solido basata sul silicio.

Engelbart iniziò a esplorarne le potenzialità. La realizzazione di quella nuova generazione di chip passava attraverso vari processi chimico-fisici ma il primo passaggio consisteva nel disegnare il circuito in una maschera litografica le cui dimensioni potevano essere scalate a piacimento, consentendo la realizzazione di chip sempre più miniaturizzati che avrebbero ospitato un numero sempre maggiore di transistor. Engelbart ebbe la stessa intuizione che fu formulata alcuni anni dopo da Gordon Moore, co-fondatore di Intel, in quella che sarebbe diventata famosa come "Legge di Moore", dove predisse che il numero di transistor che poteva essere stipato su un singolo chip sarebbe cresciuto esponenzialmente in futuro, raddoppiando ogni diciotto mesi.
Ripensò agli ingegneri aeronautici che lavoravano alla galleria del vento all'Ames, alla fine degli anni ‘40. Venivano realizzati dei modellini in scala di aerei per effettuate delle simulazioni e testare come vari profili alari rispondevano a diverse condizioni del mondo reale. Quando un design funzionava, il modellino era "scalato" alle vere dimensioni di un aeroplano. Engelbart riprese quel concetto applicandolo ai circuiti integrati, scalando le dimensioni nel verso opposto, al fine di miniaturizzare i chip.

In quel periodo l'idea iniziava a riscuotere sempre maggiori consensi. Nel maggio del 1959, Jack J. Staller della Bosch ARMA Corporation presentò un documento intitolato "Cervelli elettronici per l'era spaziale" in cui ottimisticamente affermava che "grazie alla moderna tecnologia dell'elettronica allo stato solido, presto sarà possibile concentrare la capacità computazionale di un computer che oggi occupa un'intera stanza alla dimensione di una scatola di scarpe e in futuro le dimensioni saranno ulteriormente ridotte, fino da poter stare nel palmo di una mano".

Engelbart scrisse una formale presentazione delle proprie idee che intitolò "Microelettronica e l'arte della similitudine" e il 12 Febbraio 1960 fu invitato a presenziare ad un'importante conferenza sui circuiti integrati che si tenne a Filadelfia. Per catturare l'attenzione della platea decise di illustrare la sua teoria sull'analisi dimensionale sotto forma di una storiella: "Supponiamo che questo edificio e tutto ciò che è presente in questa sala siano dieci volte più grandi in ogni direzione. Io sarei dieci volte più alto ma anche dieci volte più distante, il vostro punto di vista non cambierebbe e nessuno noterebbe la differenza... ma, aspettate un attimo, vi siete chiesti quanto sarei pesante? Peserei ben mille volte in più! E quanto sarei forte?"
Nessuno aveva la risposta. "Beh, questo dipende dalla sezione delle ossa e dei muscoli, probabilmente svilupperei una potenza di un centinaio di volte maggiore... ma attenzione, bisogna considerare altri problemi. Se improvvisamente diventate così pesanti, la sedia dove siete seduti, anche se fosse dieci volte più grande, non avrebbe un fattore di sicurezza pari a dieci e non reggerebbe... boom!".

Spostò quindi la sua attenzione sui componenti microelettronici e spiegò come i progettisti dei chip dovevano tener conto di certe costanti e affrontare quel genere di problemi quando si avventuravano in quel mondo lillipuziano che un giorno avrebbe richiesto tecniche di ingegneria molecolare. Quando finì il suo discorso, fu ricompensato da una lunga e fragorosa ovazione. Pensò di essere fortunato di far parte dello Stanford Research Institute in quel particolare momento storico: a differenza degli accademici che potevano confrontarsi solo sul piano teorico, lui aveva la grande opportunità di testare sul campo tutte quelle meravigliose innovazioni e applicarle in qualcosa di concreto e di funzionante. A maggior ragione, era sempre più convinto che la sua visione per aumentare l'intelletto umano si potesse realizzare, che le sue idee non erano farneticazioni di un pazzo come in molti avevano pensato.
Stavano per accadere dei grandi cambiamenti, e si sarebbero succeduti così rapidamente da risultare distruttivi e ridefinire completamente lo scenario. Presto la microelettronica avrebbe messo a disposizione delle tecnologie così potenti che tutta la società ne sarebbe stata inevitabilmente influenzata, e Doug Engelbart riuscì a prevederlo prima di tutti.

Augmentation Framework

Non molto tempo dopo che Doug Engelbart entrò a far parte del gruppo di sviluppo guidato da Crane, un altro giovane ingegnere, William English, arrivò allo Stanford Research Institute. Originario del Kentucky, aveva studiato ingegneria elettrica a Berkeley. English, persona mite e sempre sorridente, provò a ritagliarsi un posto di assistente ma il campus di Berkeley gli risultò inospitale. Stanco dello snobismo di professori e ricercatori, impulsivamente decise di rivolgersi allo SRI in cerca di un impiego. L'accoglienza ricevuta nella penisola si dimostrò molto più calda e accantonata l'idea della carriera accademica, si trasferì a Menlo Park.
Il suo primo incarico allo Stanford Research Institute consisteva nel mettere a punto un sistema di addestramento militare e, sebbene non fosse granché entusiasmante, gli consentì presto di entrare in contatto con l'eclettico gruppo di ricercatori che stava lavorando per Hewitt Crane. Fra questi, English conobbe Engelbart che gli parlò della sua idea di costruire una versione funzionante del Memex di Vannevar Bush.

Era chiaro a tutti che Engelbart considerava il suo lavoro allo SRI come un qualsiasi impiego che gli garantisse da vivere, mentre il suo vero interesse erano i computer digitali. Il mondo a quel tempo era ancora prettamente analogico e le sue idee inizialmente faticarono a catturare l'attenzione di English, il quale imparò presto a considerarlo un eccentrico sognatore. Ma ciò che rendeva Engelbart diverso era la sua ostinata determinazione nel sostenere le propria visione e questo gli consentì di ottenere dei piccoli finanziamenti dal dipartimento della ricerca scientifica dell'aeronautica.
Grazie all'intermediazione di Charlie Rosen, un ricercatore dello SRI che aveva la particolare abilità di presentare progetti e raggranellare fondi dalle agenzie governative, fra il 1960 e il 1965 arrivarono da Washington un totale di $120.000.

Durante i suoi primi due anni di contratto, Doug Engelbart meditò a lungo sulle caratteristiche della sua macchina ideale. Scrisse una serie di documenti dove esplorò un concetto che sarebbe diventato noto come "interazione uomo-macchina".
Da sempre le macchine servivano per trasformare materiali o generare potenza, ma ora, con l'aggiunta dell'informazione, era possibile controllare le loro azioni programmandole. Per la prima volta era possibile considerare l'uso di un computer per delle finalità che andavano oltre il mero calcolo numerico. La visione di Engelbart era focalizzata sull'interazione fra la macchina e il suo utilizzatore, un concetto del tutto nuovo per l'epoca.
Come egli scrisse, "I computer seguiranno questo tipo di evoluzione. Ora siamo ancora nell'epoca dei mainframe che operano in modo schedulato, ma presto passeremo a delle nuove applicazioni in cui l'utente avrà il controllo diretto e costante del flusso di informazioni che sta manipolando attraverso il computer. Questo scenario non potrà concretizzarsi sulle grandi installazioni, per interfacciarsi con l'utente sarà necessaria una nuova generazione di macchine che disporranno di comandi appositamente studiati per adattarsi alle capacità umane".

Doug Engelbart stava delineando le caratteristiche proprie di un personal computer. Inoltre, come i ricercatori dello Xerox PARC che raccolsero la sua eredità nel decennio successivo, la sua visione andava ben oltre l'idea di una macchina isolata. Aveva sempre immaginato il suo sistema come un gruppo di lavoro interagente e non come un singolo individuo alle prese con la sua macchina. Verso la fine degli anni ‘60 l'idea del gruppo di lavoro collegato in rete acquisì una certa popolarità quando il laboratorio di Engelbart fu scelto dal Pentagono per diventare uno dei primi due nodi di ARPAnet che, per volere di J. C. R. Licklider, si sarebbe dovuta espandere in una "rete di computer intergalattica" e mettere in diretto contatto un sempre maggiore numero di membri della comunità scientifica.

Dopo aver acquisito un certo credito grazie alla conferenza di Filadelfia del 1960, dove presentò la sua analisi dimensionale applicata alla microelettronica, Engelbart iniziò ad organizzare una serie di meeting allo Stanford Research Institute per esplorare il concetto dell'intelligenza aumentata. Ciò che lui definiva Augmentation era sempre stato nella sua mente un sistema completo, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche organizzativo.
Engelbart non era un dittatore e non aveva neanche il carisma che sarebbe diventato il marchio di fabbrica delle figure di spicco della Silicon Valley. Era determinato nella sua visione ma nello stesso tempo faceva sempre trasparire una sensazione di fatalismo. In uno dei primi incontri affermò: "La discussione di oggi si caratterizza per il fatto che io, Doug C. Engelbart, sarò assente, divertitevi. Magari proprio grazie alle mia assenza arriverete a qualche conclusione interessante".

Il periodo compreso fra il 1961 e il 1962 servì ad Engelbart per affinare il concetto che divenne noto con il nome di "Augmentation Framework". All'epoca tutto ciò che esisteva era puramente teorico, per iniziare a costruire il suo sistema avrebbe avuto bisogno di sostanziosi finanziamenti. In un primo momento pensò che avrebbe potuto trovare appoggio dalla comunità di ricercatori impegnati nel campo dell'Intelligenza Artificiale ma questi non riuscirono a cogliere la sua visione e la sminuivano al punto da considerarla come un'insieme di procedure per la ricerca di informazioni e l'automazione d'ufficio. Gradualmente Engelbart iniziò a capire che i fautori dell'intelligenza artificiale rappresentavano i suoi nemici filosofici. Dopo tutto, la loro missione era rimpiazzare gli esseri umani con delle macchine, mentre la sua visione consisteva nell'estendere le capacità dell'uomo.

Engelbart non aveva nulla contro le finalità dell'intelligenza artificiale, solo credeva che ci sarebbero voluti decenni prima di veder realizzati progetti tanto ambiziosi. Pensava che la sua idea avesse molto più senso pratico. Durante la sua carriera gli capitò spesso di sbattere la testa contro un muro di pregiudizi. Il concetto del computer come strumento per manipolare le informazioni trovò una fredda accoglienza. Alcuni detrattori affermavano che Engelbart non stava proponendo nulla di nuovo. Furono due anni difficili: lo stato dell'arte dell'informatica era considerato all'epoca l'implementazione di algoritmi matematici sempre più complessi e gli studiosi più accreditati guardavano dall'alto in basso il lavoro di quel giovane ingegnere, non considerando degno della loro attenzione quello che sembrava un semplice sistema per ordinare e ricercare dati.
Inoltre, il supporto che aveva ricevuto dal dipartimento della ricerca scientifica aeronautica non sembrava granché affidabile. Quell'istituto aveva la reputazione di finanziare i progetti più strambi e le ricerche di Engelbart erano potenzialmente a rischio di essere scavalcate dagli studi di qualcuno sul volo dei moscerini.
Anche i suoi colleghi non nascondevano la perplessità. Un amico gli confidò: "Sai, se le persone riescono veramente a capirti allora ti rispettano, altrimenti potresti sembrare uno dei tanti ciarlatani".

Nonostante trovasse difficoltà a far accettare le proprie idee Engelbart persisteva nella sua ostinazione. Nell'ottobre 1962 formalizzò la sua visione in un documento intitolato "Espandere le capacità umane: un sistema concettuale". Il suo "sistema" (Augmentation Framework) era costituito da una parte tecnologica e da una serie di procedure organizzative che consentiva ad un gruppo di persone equipaggiate di computer di lavorare a progetti complessi ed interagire in modo più efficiente.
In un senso più ampio, il framework di Engelbart racchiudeva in un unico concetto il personal computer e internet.

Nella sua prima completa descrizione del sistema, Engelbart presenta la figura di un architetto assistito dal computer. "Consideriamo un architetto 'aumentato' al lavoro", scrive. "Egli siede ad una postazione di lavoro - definita workstation, termine che diventerà estremamente comune - di fronte ad un ampio display dalle dimensioni di almeno venti pollici. Questa è la superficie di lavoro dove vengono mostrate le informazioni dal computer, il suo assistente digitale, con il quale può comunicare per mezzo di una tastiera e vari altri strumenti. Il computer non è più semplicemente un calcolatore ma può trovare applicazione in molti altri ambiti in cui l'informazione è trattata in modo simbolico".

Nella sua asciutta descrizione, Engelbart delinea un utilizzo del computer che andava enormemente oltre tutto ciò che era stato immaginato all'epoca. Se prima era necessario un team di persone per far funzionare un singolo computer mastodontico, ora lo scenario era rovesciato ed il computer diventava un assistente personale.
Riprendendo le parole di J. C. R. Licklider, si creava una "simbiosi uomo-macchina".
Questo concetto fondamentale derivava direttamente dal Memex di Vannevar Bush e sarà ripreso qualche anno più tardi da Alan Kay, il ricercatore dello Xerox PARC che portò alla definitiva affermazione del personal computer.

Engelbart iniziò a diffondere la sua proposta sperando di trovare supporto; fortunatamente per lui, i suoi scritti arrivarono in mano a Robert Taylor, un giovane manager della NASA che con l'appoggio di J. C. R. Licklider, allora a capo dell'ARPA, stanziò i fondi sufficienti per l'acquisto di un minicomputer della Control Data Corporation e per assumere alcuni ingegneri.
Purtroppo, quei primi finanziamenti dall'Advanced Research Projects Agency arrivarono ad una condizione imposta da Licklider. Dopo la sua esperienza al MIT, dove John McCarthy aveva mostrato le potenzialità del computer in time-sharing, Licklider era determinato nello spingere gli sforzi della ricerca in quella direzione.
L'ARPA aveva destinato una grossa fetta del suo budget alla System Development Corporation, con sede a Santa Monica, per convertire il mainframe che aveva in dotazione in un sistema time-sharing al fine di rendere disponibile quella tecnologia.
Per seguire questa sua visione Licklider impose a Engelbart di sviluppare il suo sistema sul computer della SDC.
Engelbart era inorridito al solo pensiero. "Ma non è ancora time-sharing", protestò.
"Presto lo sarà", replicò Licklider.
Quello fu solo il primo screzio fra i due. Se all'inizio Licklider fu uno dei pochi a sostenere le idee di Engelbart, anni più tardi gli rimproverò che il suo lavoro non aveva dato i frutti sperati e che non si era tradotto nulla di veramente significativo.

Nel 1963, Engelbart iniziò a lavorare al suo progetto che battezzò oNLine System (NLS). Aveva un programmatore che scriveva codice a Menlo Park e poi ogni settimana si recava a Santa Monica per testarlo. La SDC aveva messo a disposizione solo un terminale, con una tastiera e un piccolo schermo, per fornire accesso al mainframe che si trovava in un'area protetta. La macchina era accessibile in time-sharing solo per poche ore al giorno e andava in crash in continuazione. Un frustrato Engelbart provò a collegarsi da remoto alla macchina della SDC con il suo minicomputer Control Data da Menlo Park ma gli ingegneri non riuscirono a far comunicare i due sistemi in modo affidabile.

Come risultato, per i successivi due anni, Engelbart finì per sviluppare il suo sistema per aumentare l'intelletto umano su un computer che aveva meno potenza elaborativa di un Apple II di una quindicina d'anni più tardi. Il minicomputer della Control Data Corporation usava la memoria a nuclei magnetici, aveva una capacità di ottomila parole da 12bit, poco più di 3 pagine di testo. I programmi venivano inseriti tramite un lettore di nastro perforato e i dati potevano essere memorizzati su nastro magnetico. Una particolarità di quella macchina era il suo monitor circolare che poteva visualizzare sedici righe da sessantaquattro caratteri di testo, solo in lettere maiuscole.

Engelbart iniziò ad armeggiare su questo anemico minicomputer ma aveva bisogno di qualcuno che fosse in grado di programmarlo, ben presto chiese a Bill English di unirsi al suo gruppo come ingegnere del software. English divenne la spalla ideale. Per i successivi sei anni, mentre Engelbart lottava per imporre la propria visione e cercava di descrivere in quale direzione stava andando la tecnologia, fu English che ebbe la capacità e la pazienza di tradurre in realtà le sue idee.

[..] Continua...
Questo articolo è tratto dal libro "NON È NATO IN UN GARAGE - La storia vera del personal computer".