Wozniak racconta: la quotazione in borsa di Apple
Nel 1980 Apple stava cambiando: mentre Steve Wozniak svendeva le sue stock options ai dipendenti che considerava sui amici, appariva evidente che una nuova filosofia stava prendendo il timone dell'azienda, non più basata sull'ingegneria ma sul marketing
Questo articolo è tratto dalla autobiografia di Steve Wozniak, iWoz (Norton & Co, 2007), disponibile solo in lingua inglese.
Poco prima della nostra quotazione in borsa, verso la fine del 1980, un investitore mi contattò chiedendo se fosse possibile acquistare una parte delle mie stock options a $5 dollari l'una. Voleva acquistare il 10% del mio pacchetto. L'idea non mi dispiaceva, perchè così mi sarei potuto permettere di acquistare una casa per me ed Alice. Stavamo ancora nell'appartamento di Park Holiday a San Jose, e pagavamo un affitto di $150 al mese.
Ma preferii procedere in un altro modo. Ero particolarmente legato agli impiegati della Apple — erano circa un centinaio all'epoca — e consideravo l'azienda come una piccola comunità. Così decisi che sarebbe stato meglio vendere una parte delle mie stock options ai dipendenti e garantire un guadagno a loro piuttosto che a qualche investitore esterno.
A quel punto sembrava a tutti evidente che la quotazione in borsa di Apple sarebbe stata un gran successo e che, ragionevolmente, il valore delle azioni sarebbe stato di molto superiore ai $5. I fondatori e i dirigenti di Apple avevano una gran quantità di stock options. Stavamo tutti per diventare milionari. Ma parecchi altri dipendenti Apple, la maggior parte, erano esclusi da ogni ritorno economico.
Misi in atto quello che battezzai "Piano di Woz": decisi di offrire ad un prezzo molto basso una parte delle mie stock options agli impiegati che le richiedevano, siano essi ingegneri o addetti al marketing. Chiunque avrebbe potuto acquistare da me fino a 2000 azioni per soli $5.
Quasi tutti quelli che aderirono al piano alla fine guadagnarono abbastanza per comprarsi una casa e sistemarsi discretamente. Mi fa ancora molto piacere di questo.
Quando all'inizio ebbi l'idea i nostri legali mi dissero che non era permesso vendere stock options a tutta questa gente. Era una questione delicata, bisognava tener conto degli altri investitori, scuse di questo genere. Poi il nostro avvocato Al Eisenstat mi disse, "Ok, Steve, puoi farlo".
C'era poi un problema che riguardava alcuni dei nostri primi dipendenti che non possedevano neanche una stock options. Randy Wiggington, che mi aiutò a realizzare il floppy disk, era già lì insieme a noi prima che Apple fosse fondata. Chris Espinoza, Dan Kottke, e il mio vecchio vicino di casa Bill Fernandez, erano altre persone che si trovavano in questa situazione. Per me non erano dei semplici dipendenti, li consideravo parte della famiglia, erano stati fonte di ispirazione e il loro aiuto fu determinante nella realizzazione dell'Apple I e dell'Apple II. Detti a ciascuno di loro delle stock options per un valore di circa un milione di dollari.
A quel tempo, dare delle stock options a chi pensavi se le meritasse era piuttosto inusuale. Le aziende non concedevano stock options a tutti i lavoratori. Dicevano, "Perchè dovremmo dargliele? Sono già pagati per quello che fanno".
Non ho mai sentito un'azienda che dicesse, "Ok, sei un bravo ragazzo, te lo meriti, eccoti qualche stock options". Ma in questo caso era differente, ero io che gli stavo offrendo le mie stock options — come un dono — non era un'iniziativa dell'azienda.
Anche se non me ne parlò mai, penso che Steve ritenesse questa mia iniziativa un segno di debolezza, con quella sorta di svendita che poteva essere percepita come una mancanza di fiducia nelle prospettive dell'azienda. Fatto sta che al "Woz Plan" aderirono quarante persone e a ciascuna di loro vendetti un pacchetto da 2000 azioni a $5 l'una. Fui così in grado di acquistare in contanti una casa molto bella per me ed Alice. Pensai che possedere una casa tutta nostra fosse davvero fantastico. Non ci dovevamo più preoccupare di pagare l'affitto. Non era grandissima ma era davvero graziosa. È stata probabilmente la casa che ho amato di più in vita mia. Era situata nella Scotts Valley, in mezzo alle Santa Cruz Mountains.
A quel tempo Apple aveva il suo quartier generale a Bandley Drive. Nel 1981 i computer sembravano improvvisamente diventati una cosa irrinunciabile nella vita. C'erano articoli di giornali, riviste e trasmissioni televisive che parlavano dei computer. Era un fenomeno immenso. Computer, personal computer e home computer, tutti si chiedevano con meraviglia se avessero potuto migliorare la nostra vita futura, rivoluzionare il sistema dell'istruzione, renderci più efficienti e più produttivi. Sembrava che i computer avessero potuto esaltare le nostre potenzialità, e come un'estensione del nostro cervello ci avrebbero consentito di pensare meno e ottenere le risposte corrette molto più velocemente.
C'era anche un flusso continuo di articoli sulla stampa specializzata che comparava il nostro prodotto con i concorrenti presenti sul mercato e, vista la nostra superiorità tecnica, eravamo sempre valutati come miglior prodotto sulla piazza. C'erano anche storie un po' romanzate dove si raccontava di come due sole persone, Steve ed io, erano partite dal nulla e in poco tempo avevano raggiunto un successo così grande. Ricevemmo così un sacco di pubblicità con tutti i benefici che ne derivavano. Vendite in crescita esponenziale e celebrità. Eravamo diventati delle star.
Nel dicembre 1980 le azioni Apple vennero quotate al NASDAQ. L'offerta pubblica di acquisto delle azioni Apple riscontrò il maggior successo di tutti i tempi. Era sulle prime pagine di tutti i principali quotidiani e riviste. Improvvisamente eravamo entrati nella storia. Ed eravamo diventati ricchi. Davvero ricchi. Questo era un fatto davvero sorprendente. Dopo tutto, avevamo iniziato dal nulla. Andò a finire che Mike Markulla aveva ragione. La nostra azienda sarebbe potuta entrare veramente nella Fortune 500 nel giro di cinque anni. Solo un anno dopo, avremmo combattuto testa a testa con il primo personal computer di IBM.
Contemporaneamente alla quotazione in borsa di così notevole portata, avevamo per le mani anche l'Apple III, una macchina rivolta al business di cui si vociferava l'uscita imminente. I tempi erano maturi, in parte perchè lo richiedeva il mercato e in secondo luogo perchè ormai così tante persone avevano ricevuto le nostre stock options che la SEC (Commissione americana dei titoli e obbligazioni) avrebbe potuto sollevare dei problemi che avrebbero complicato la nostra quotazione.
Quel computer, l'Apple III, era una forte risposta alle esigenze del mondo business. Dopo l'incredibile fenomeno dell'Apple II, quello doveva essere il nostro prodotto da contrapporre al nuovo PC IBM. Ad essere onesti, l'Apple III aveva un concorrente che faceva sul serio. Nel 1981 IBM presentò finalmente la sua risposta all'Apple II. Il PC IBM ebbe da subito un enorme successo e le sue vendite schizzarono rapidamente. Improvvisamente avevamo un'agguerrita concorrenza, come mai avevamo avuto prima. Tutte le grandi aziende che già possedevano i mainframe IBM, e che erano già clienti IBM, non impiegarono molto ad adottare i nuovi PC IBM. I responsabili dell'ufficio acquisti usavano dire "Non potrai mai essere licenziato per aver comprato un IBM".
Quando il PC IBM venne annunciato, noi ci comportammo in modo un po' impertinente. Aquistammo un'intera pagina del Wall Street Journal che diceva, "Benvenuta IBM. Seriamente".
Nel 1983 il PC sorpassò l'Apple II diventando il sistema più venduto al mondo. A quel tempo, Mike Scott— che era stato il nostro presidente e ci aveva guidato fino alla spettacolare quotazione in borsa — se ne era ormai andato. Durante lo sviluppo dell'Apple III, Mike aveva capito che l'azienda stava crescendo troppo e in modo incontrollato. C'erano dei buoni ingegneri, questo è vero, ma è vero anche che ce n'erano almeno altrettanti che erano dei buoni a nulla. Questo accade in ogni grande azienda. E la colpa non è necessariamente da attribuire ai cattivi ingegneri.
Esisterà sempre qualche incongruenza tra gli interessi degli ingegneri e il lavoro che gli viene assegnato da svolgere. Ad ogni modo, Scotty aveva detto a Tom Whitney, il responsabile dello sviluppo, di prendersi una settimana di ferie. Nel frattempo avrebbe fatto qualche ricerca. Andò a parlare con tutti gli ingegneri presenti in azienda per farsi un'idea di chi stava facendo cosa, chi stava effettivamente lavorando a qualche progetto e chi no.
Poco dopo licenziò un gran numero di persone, nel giorno noto come "il lunedì di sangue", o che almeno è stato chiamato così nei libri che raccontano la storia della Apple.
In tutta sincerità, ritengo che la maggior parte delle persone che vennero sbattute fuori se lo meritassero, erano dei fannulloni. Ma poi lo stesso Mike Scott venne licenziato. Il consiglio di amministrazione non aveva digerito questa sua iniziativa, secondo loro non era stata seguita la procedura corretta, non era stato ascoltato il parere degli altri dirigenti e non era stato rispettato quel protocollo che sarebbe stato doveroso osservare da parte di una grande azienda.
Mike Markkula mi confidò che ultimamente Mike Scott stava prendendo troppe decisioni sconsiderate. Mike pensava che la situazione stava sfuggendo di mano a Scotty e che lui non era più in grado di gestire l'azienda viste le dimensioni che stava assumendo.
Ci rimasi un po' male. Scotty mi piaceva moltissimo come persona. Mi piaceva il suo modo di pensare e la sua abilità nel passare dagli atteggiamenti seri e quelli scherzosi. Con Scotty non mi sembrava che l'azienda andasse poi così male. Lui rispettava il mio lavoro da ingegnere e apprezzava quello che facevo. Fu il nostro leader dall'inizio, da quando venne formalizzata la società fino alla quotazione in borsa, la più grande nella storia americana. Poi, tutto d'un tratto, venne messo da parte e dimenticato. È triste non vederlo citato in nessuno dei libri di storia informatica. Eppure fu Mike Scott il presidente che guidò la Apple per tutto il primo periodo.
Ho imparato un sacco di cose durante quei primi anni alla Apple. Ho imparato che all'interno di un'azienda ci possono essere idee differenti su come devrebbero essere fatte le campagne pubblicitarie, sull'aspetto che dovrebbe avere il logo, sul nome stesso della società o sulle funzionalità che avrebbero dovuto avere i prodotti. Tutti avevano idee differenti e spesso discordanti su una serie infinita di cose. Quello che ho imparato direttamente da questa nuova esperienza, lavorando in un'azienda a stretto contatto con così tante persone è di non avere mai la presunzione di saper fare meglio il lavoro di qualcun altro che si occupa da anni di quelle cose.
Feci bene a starmene tranquillo, senza mettere il becco nelle discussioni, concentrandomi sulla parte ingegneristica, quella che sapevo fare meglio. In questo modo continuai ad essere produttivo e lasciai fare ad altri ciò che sapevano fare al meglio.
Erano molto poche le aziende con quel tipo di organizzazione. Ma le aziende non sempre crescono nel modo che era stato inizialmente ipotizzato. Quando fondammo Apple, Steve ed io, avevamo in mente un modello che avesse al centro la componente ingegneristica. Volevamo che si respirasse la stessa aria che c'era all'HP, dove tutti gli ingegneri sono felici di lavorare in quanto si settono trattati come cittadini di una classe superiore. Ma ci rendemmo presto conto di come si sarebbe evoluta la situazione, Mike Markulla ce lo preannunciò, "Questa deve diventare un'azienda basata sul marketing".
In altre parole, i prodotti dovevano essere la risposta che il nostro reparto marketing trovava più indicata per soddisfare le esigenze dei consumatori. Questo è l'esatto contrario di un posto in cui gli ingegneri lavorano con amore a qualsiasi progetto secondo le loro intuizioni, e lasciano poi al marketing il compito di trovare le possibili applicazioni commerciali per quei prodotti. Ero consapevole che accettare questa filosofia aziendale sarebbe stato difficile per me.