La Pepsi Generation e il lifestyle marketing

Coca Cola è da sempre focalizzata sulla bevanda. Sculley spostò l’attenzione sulle persone: non erano dei semplici spot, erano film sullo stile di vita

Pepsi Generation
Pepsi Generation, spot Superbowl con Cindy Crawford (1992)

Nel tuo libro dici che volevi fare di Apple una “product marketing company.”

John Sculley: È vero. Con Steve siamo stati in trattativa per diversi mesi prima di ufficializzare il mio passaggio alla Apple. Steve aveva già una discreta esperienza nel marketing che si era costruito tutta da solo. Questo è tipico di Steve. Quando gli interessa qualcosa e capisce che questa assumerà sempre più importanza, cerca assimilare più nozioni possibili. Una cosa lo affascinò particolarmente: quando gli dissi che infondo non c’era una gran differenza fra una Coca e una Pepsi, ma che il rapporto delle vendite era 9 a 1. Il nostro compito era quello di convincere la gente che la Pepsi era una buona alternativa a cui avrebbero dovuto prestare attenzione, fino a cambiare le loro abitudini. Decidemmo di trattare la Pepsi come se fosse una cravatta. Le persone sceglievano con particolare cura quale cravatta indossare, e la cravatta stava a significare: “È così che voglio farmi vedere”. Dovevamo immaginare la Pepsi come fosse una bella cravatta. E quando l’avevi in mano, la Pepsi doveva comunicare lo stesso messaggio: “È così che voglio farmi vedere”.

Avevamo fatto qualche indagine di mercato e avevamo scoperto che quando le persone offrivano da bere ai loro amici, se avevano in frigo una bottiglia di Coca, la portavano in tavola insieme ai bicchieri per i loro ospiti. Se invece avevano una bottiglia di Pepsi, la prendevano dal frigo, l’aprivano e la versavano direttamente nei bicchieri in cucina. Il punto era che qualcuno sembrava vergognarsi del fatto di stare servendo una Pepsi e che così facendo riuscivano facilmente a farla passare come una Coca, perchè una Coca aveva per loro una migliore percezione. Era considerata come una cravatta più bella. Steve era affascinato da questi discorsi.
Abbiamo discusso a lungo di come la percezione modella la realtà e di come, se hai intenzione di creare una realtà, devi anche essere in grado di creare il modo in cui viene percepita.
Creammo così la Pepsi generation. Avevo appreso dagli scritti di Margaret Mead, un’antropologa degli anni ‘60, che per chi si occupa di marketing è di primaria importanza la crescita di una ricca classe media - quella dei Baby Boomers, che sono oggi attorno alla sessantina.
Furono la prima generazione ad avere una buona disponibilità economica da potersi permettere di spendere denaro per delle cose non strettamente necessarie.
Quando abbiamo creato la Pepsi generation, avevamo in mente queste persone. Ci siamo sempre focalizzati sui consumatori della bevanda, e mai sulla bevanda in sè.

Coca Cola è da sempre focalizzata sulla bevanda. Noi abbiamo spostato l’attenzione sulle persone. Mostravano persone che andavano in bicicletta, che facevano sci d’acqua, che volavano in deltaplano - che facevano un sacco di cose differenti. E alla fine c’era sempre una Pepsi come ricompensa. Tutto questo accadeva nel periodo in cui si stavano diffondendo i primi televisori a colori. Fummo la prima azienda ad adottare questo tipo di “lifestyle marketing”. Quella della Pepsi fu la prima - ed è tutt’ora la più lunga - campagna pubblicitaria incentrata sullo stile di vita delle persone. I Tv-color con un schermo da almeno 19 pollici andavano ormai per la maggiore. Noi non ci rivolgemmo ai pubblicitari che finora avevano pensato spot per i piccoli televisori in bianco e nero. Ci rivolgemmo direttamente a Hollywood per ingaggiare uno dei migliori registi e gli chiedemmo di realizzare per noi dei film da 60 secondi. Non erano dei semplici spot, erano film sullo stile di vita.
Il tutto era finalizzato a creare la percezione che Pepsi fosse il numero uno.

Non puoi essere un numero uno se non pensi come un numero uno. Dovevamo apparire come i numeri uno. Steve amava queste idee e le applicammo anche alla Apple. Il nostro lavoro si concentrò sul marketing del Mac, sul modo di presentarlo al mercato.
Dovevamo avere un grande impatto e suscitare nella gente un alto livello di aspettattiva sul prodotto e su quelle che erano le sue potenzialità. A dire il vero, il Mac non era in grado di fare granchè all’inizio. Quasi tutte le risorse erano impegnate per soddisfare l’esperienza utente. Subimmo un contraccolpo, la gente diceva “È un giocattolo che non serve a niente”. Ma per fortuna, grazie anche a dei rapidi aggiornamenti tecnologici, il Mac riuscì ad imporsi.

Anche Apple è famosa per il suo tipo pubblicità che mostra persone dinamiche, con uno stile di vita invidiabile, che usano i suoi prodotti. Giovani alla moda con i loro iPod...

John Sculley: Non posso vantare più alcun credito sulle nuove campagne pubblicitarie. L’abilità di Steve consiste nel capire come funzionano le cose e nel riapplicare in diversi scenari quei principi che ha appreso. Fa parte della sua metodologia - ogni cosa è design.
Vi racconto un aneddoto: l’anno scorso, un mio amico era stato invitato ad un meeting durante il quale, nello stesso giorno, erano in programma due eventi, uno organizzato da Apple e l’altro da Microsoft. Quando i designer di Apple si presentarono nella sala, tutti smisero di parlare perchè i designer sono fra le persone più rispettate in azienda, rappresentano Steve, sono i soli alla Apple che fanno riferimento direttamente al CEO.

Più tardi fu il turno di Microsoft. Nessun designer si presentò in sala e il meeting iniziò mentre tutti continuavano a parlare fra di loro. C’era una schiera di tecnici che facevano proposte su come sarebbe dovuto essere il design... Questa è una strada che conduce al disastro.
Microsoft assume le persone più in gamba al mondo. Tutta gente incredibilmente capace e nessuno mette in discussione il loro talento, ma non è questo il punto.
Il fatto è che Apple pone il design al livello più alto dell’organizzazione, guidato personalmente da Steve. Il design nelle altre aziende non è considerato così importante. È sommerso dalla burocrazia, dove molte persone hanno l’autorità di dire no e troppo poche quella di dire si. E alla fine i prodotti escono fuori pieni di compromessi. Ecco che ritorna la filosofia minimalista di Steve: le decisioni più importanti riguardano le cose da NON fare.
Dopo tutti questi anni trovo immutati i principi che segue Steve, se non per il fatto che li sta sempre più affinando.

Un ottimo esempio al riguardo, è quello che ha fatto con i punti vendita.
Ha assunto uno dei massimi esperti del settore (Mickey Drexler artefice del successo della Gap, che consigliò a Jobs di costruire un prototipo del negozio prima del lancio ufficiale) e ha imparato tutto quello che c’era da imparare: non ho mai visto un negozio migliore di un Apple Store!
Oltre a generare le entrate per metro quadro più alte rispetto a qualsiasi altro negozio, offre ai clienti un’esperienza unica. Gli Apple Store sono sempre pieni. Puoi andare al Sony Center al Moscone di San Francisco o al Nokia Store sulla  57th St. a New York, non c’è mai nessuno lì.
Per guardare i prodotti esposti ci sono i normali negozi e i centri commerciali.
Quando vai in un Apple Store i prodotti puoi toccarli e provarli ma soprattutto puoi condividere l’esperienza con le persone che ci sono intorno, è divertente. Ancora, è uno spot vivente, è come se qualcuno dicesse: “È qui che mi piace vedermi. Sono qui. Sono qui al genius bar. Sto provando i prodotti. Guardami, sono come tutte le altre persone nello store.” Conta ogni aspetto dell’esperienza utente: l’uso del prodotto in sè, il suo design, ma anche come è pubblicizzato e presentato. Steve ha una cura dei particolari che è diventata leggendaria, come tutti i designer presta attenzione ai dettagli ed è capace di bloccare tutto per una piccolezza che nessuno definirebbe come un problema. Ma questo è uno dei motivi per cui Apple riesce a mantenere una qualità così alta nei suoi prodotti.

Ricordo che una volta stavo parlando con Steve e lui mi chiese “Ma come ha fatto Pepsi a fare delle pubblicità così belle?” Me lo chiese come a voler intendere “A quale agenzia ti sei rivolto?”. E io gli ho risposto come stavano le cose in realtà: prima di tutto devi aver un gran prodotto e poi devi essere capace di presentarlo come un’opportunità per chi deve realizzarne la pubblicità. Dietro alle più belle campagne pubblicitarie ci sono sempre dei grandi clienti. I migliori creativi vogliono lavorare per i migliori clienti. Se tu non sei il cliente che apprezza i lavori originali, che non vuole prendersi il rischio di provare qualcosa di nuovo, che non rimane affascinato dalla creatività, allora non sei il tipo giusto di cliente.

Molte grandi compagnie delegano questi compiti ad un livello più basso nella loro organizzazione. Un CEO molto raramente conosce qualcosa della pubblicità prima che questa venga presentata, quando è ormai tutto fatto. Alla Pepsi non era così. Alla Apple non era così. E sono sicuro che ancora oggi Steve non si comporta così: lui è pienamente coinvolto in ogni aspetto che riguarda la pubblicità.

Infatti mi dicono che Lee Clow (a capo dell’agenzia pubblicitaria TBWA) ogni settimana si reca al quartier generale di Apple per incontrare Jobs.

John Sculley: Una volta compresa l’importanza del design per Apple, si iniziano a notare tutte quelle cose che la rendono speciale. Basta guardare le scale all’interno degli Apple Store. Sono fatte di un vetro speciale. E come ogni cosa voluta da Steve sembra voler sottolineare il fatto che lui è un tipo speciale, differente da tutti gli altri CEO. Lui è un minimalista e cerca costantemente di ridurre le cose alla loro essenza, ad un livello più semplice. Non semplicistico. Semplificato. Steve è un designer di sistemi complessi, lui semplifica la complessità.
Chi non considera importanti certe cose produrrà dei risultati mediocri. Mi stupisce che molte aziende facciano ancora di questi errori. Come Microsoft Zune. Quando Microsoft lo presentò al CES non suscitò grande entusiasmo, la gente non sembrava interessata. Zune era già morto.
Era come se qualcuno avesse esposto delle verdure che stavano andando a male su un banco del supermercato. Tutti ne stavano alla larga. Alla Microsoft lavorano delle persone preparatissime ma seguono una diversa filosofia nella progettazione dei loro prodotti.
Si è detto più volte, e lo considero vero, che Microsoft va a segno al terzo tentativo. La sua filosofia è rilasciare il prodotto e poi apportare le correzioni necessarie in un secondo tempo. Steve non si è mai comportato così, non rilascia un prodotto se non lo considera perfetto.

Torniamo a parlare di pubblicità, che è così importante per Apple.
Nel tuo libro parli di “strategic advertising”, della pubblicità come strategia.
È un’idea molto interessante...

John Sculley: Quando arrivai nella Silicon Valley non c’era alcuna forma di advertising degna di nota... L’unica azienda che era realmente interessata a fare una sorta di campagna pubblicitaria era la Apple. HP non faceva pubblicità all’epoca. Nessuna azienda, con un grosso nome alle spalle, lo considerava necessario. Invece, uno dei motivi per cui io fui assunto, fu proprio quello di portare alla Apple una forma di pubblicità tipica dei grandi brand.
Il logo di Apple era multicolore perchè l’Apple II fu il primo computer a colori. Nessun altro computer all’epoca aveva una grafica a colori e così ebbero la pensata di inserire le famose strisce colorate sulla mela. Se volevi stampare il logo su una rivista o su una confezione sarebbe stato molto più economico farlo a quattro colori, ma Steve insistette affinchè i colori fossero sei. Così, da qualsiasi parte, il logo fu sempre stampato a sei colori. Questo aggiunse un costo del 30-40% ma alla fine Steve era soddisfatto. È stato sempre un perfezionista, fin dall’inizio.



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